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Manovra correttiva 2011: il reclamo e la mediazione nel processo tributario

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SOMMARIO:
1) Atti reclamabili e procedura di reclamo
2) Rapporto tra procedimento di reclamo e successiva fase processuale
3) La procedura di reclamo non esauritasi nei 90 giorni.

Art. 39, comma 9, del d.l. n. 98/2011 (Reclamo e mediazione):
Dopo l’articolo 17 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, è inserito il seguente articolo:
«Art. 17-bis (Il reclamo e la mediazione) – 1. Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate, chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo secondo le disposizioni seguenti ed è esclusa la conciliazione giudiziale di cui all’articolo 48.
2. La presentazione del reclamo è condizione di ammissibilità del ricorso. L’inammissibilità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
3. Il valore di cui al comma 1 è determinato secondo le disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 12.
4. Il presente articolo non si applica alle controversie di cui all’articolo 47-bis.
5. Il reclamo va presentato alla Direzione provinciale o alla Direzione regionale che ha emanato l’atto, le quali provvedono attraverso apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili.
6. Per il procedimento si applicano le disposizioni di cui agli articoli 12,18, 19, 20, 21 e al comma 4 dell’articolo 22, in quanto compatibili.
7. Il reclamo può contenere una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa.
8. L’organo destinatario, se non intende accogliere il reclamo volto all’annullamento totale o parziale dell’atto, ne’ l’eventuale proposta di mediazione, formula d’ufficio una proposta di mediazione avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa. Si applicano le disposizioni dell’articolo 48, in quanto compatibili.
9. Decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso. I termini di cui agli articoli 22 e 23 decorrono dalla predetta data. Se l’Agenzia delle entrate respinge il reclamo in data antecedente, i predetti termini decorrono dal ricevimento del diniego. In caso di accoglimento parziale del reclamo, i predetti termini decorrono dalla notificazione dell’atto di accoglimento parziale.
10. Nelle controversie di cui al comma 1 la parte soccombente è condannata a rimborsare, in aggiunta alle spese di giudizio, una somma pari al 50 per cento delle spese di giudizio a titolo di rimborso delle spese del procedimento disciplinato dal presente articolo. Nelle medesime controversie, fuori dei casi di soccombenza reciproca, la commissione tributaria, può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti solo se ricorrono giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, che hanno indotto la parte soccombente a disattendere la proposta di mediazione.".
10. Ai rappresentanti dell’ente che concludono la mediazione o accolgono il reclamo si applicano le disposizioni di cui all’articolo 29, comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
11. Le disposizioni di cui al comma 9 si applicano con riferimento agli atti suscettibili di reclamo notificati a decorrere dal 1° aprile 2012.

1) Atti reclamabili e procedura di reclamo

L’art. 39, comma 9, del d.l. n. 98/2011 inserisce nel corpo normativo dedicato al processo tributario (d. lgs. n. 546/1992) l’art. 17-bis il quale disciplina due istituti assolutamente sconosciuti, fino ad oggi, al diritto processuale tributario: il reclamo e la mediazione.

Secondo la nuova disposizione, a partire dagli atti notificati a decorrere dal 1° aprile 2012 di valore non superiore a 20.000 € ed emessi dall’Agenzia delle Entrate è necessario, prima di proporre ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, proporre reclamo allo stesso organo emittente.

Il reclamo, in particolare, va presentato alla Direzione provinciale o alla Direzione regionale che ha emanato l’atto, le quali provvedono attraverso apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili. Tale ultima precisazione si rivela di fondamentale importanza: il reclamo, in quanto espressione di amministrazione giustiziale, deve essere ricevuto e gestito da un ufficio terzo rispetto a quello che ha emanato l’atto reclamabile. Se così non fosse, il reclamo non avrebbe alcun senso, riducendosi di fatto ad una rinnovazione della valutazione degli stessi elementi da parte dell’ufficio che ha condotto l’attività accertatrice. Inoltre l’Ufficio al quale viene chiesta una nuova valutazione non avrebbe quella imparzialità e serenità che possa consentirgli un atteggiamento di tipo “conciliativo” necessario ai fini della buona riuscita della procedura.
Il valore della lite, che non deve essere superiore a 20.000 €, è determinato con riferimento all’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 546/1992. Secondo quest’ultima norma : “Per valore della lite si intende l’ importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’ atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste”.

2) Rapporto tra procedimento di reclamo e la successiva fase processuale

Va ricordato che la presentazione del reclamo costituisce condizione di ammissibilità del ricorso: il reclamo deve necessariamente precedere la presentazione del ricorso (rectius è esso stesso ricorso), pena l’inammissibilità di quest’ultimo. Da ciò discende che l’atto di reclamo presentato dal contribuente deve, quanto al contenuto, assumere le vesti di un vero e proprio ricorso, evidenziandovi tutte le eccezioni sia di diritto sia di merito che si intendono sollevare con riferimento al provvedimento notificato.

Questo rilievo esce rafforzato anche dalla lettura del successivo comma 9 del nuovo art. 17-bis. In esso si dice: “decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso”. Ciò significa che il momento al di là del quale non è più possibile eccepire vizi dell’atto che si contesta (sia di diritto sia di merito) deve essere riferito già ad un momento pre-processuale, cioè alla presentazione del reclamo non già al momento della commutazione del reclamo in ricorso.

Ciò perché, una volta decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione, per finzione giuridica, il reclamo vale come ricorso. Non è più possibile perciò integrare i motivi del reclamo presentato dinanzi all’Agenzia delle Entrate, dovendo il contribuente in tale ultimo atto riversare tutte le rimostranze relative all’atto impositivo ricevuto.

La necessità che il reclamo contenga tutti i motivi, atteso che per fictio iuris, è suscettibile di trasformarsi in ricorso, emerge dalla recente sentenza della Corte di Cassazione n. 12442 dell’8/06/2011 la quale ha stabilito che non si può contestare attraverso motivi aggiunti la decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di accertamento dovendo necessariamente tale vizio essere evidenziato in sede di ricorso.

Perciò, a partire dal 1° aprile 2012, se un contribuente intende contestare la tardività dell’esercizio dei poteri di accertamento dovrà farlo necessariamente in sede di reclamo, non potendo integrare il reclamo in sede processuale. Infatti, il reclamo produce gli effetti del ricorso, con la sola conseguente costituzione in giudizio entro 30 giorni dalla chiusura della procedura di reclamo. Né, come affermato dalla sentenza della Cassazione poc’anzi citata, sarà possibile presentare motivi aggiunti per contestare la decadenza dell’Amministrazione finanziaria dai poteri di accertamento.

Naturalmente, nell’ipotesi in cui il reclamo non venga accolto dall’Agenzia delle Entrate, il reclamante-ricorrente potrà (rectius dovrà) contestare il “silenzio-rifiuto” dell’ente impositore o il provvedimento espresso di rigetto del reclamo adducendo contestazioni concernenti specificamente l’attività amministrativa di gestione del reclamo.

Lo stesso nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria non accetti la proposta di mediazione avanzata dal contribuente.

Attenzione quindi al contenuto che dovrà avere il reclamo. Non soltanto tutte le eccezioni dovranno confluire nel reclamo, il quale quindi si configura come un vero e proprio “ricorso”, ma anche il petitum dovrà essere cristallizzato nel reclamo, non potendo essere modificato in sede processuale. In altre parole, se il contribuente attraverso il reclamo chiede esclusivamente l’annullamento parziale dell’atto impositivo, non potrà poi, una volta rigettato il reclamo, chiedere al giudice l’annullamento totale dello stesso atto.

Va sottolineato infatti che il reclamo produce gli effetti del ricorso per cui avendo quest’ultimo la funzione di delimitazione della materia del contendere, la stessa funzione verrà assolta dal reclamo.

In base al comma 6 del nuovo art. 17-bis: “Per il procedimento si applicano le disposizioni di cui agli articoli 12,18, 19, 20, 21 e al comma 4 dell’articolo 22, in quanto compatibili”.

L’art. 12 del d.lgs. n. 546/1992 impone l’obbligo di assistenza tecnica per le controversie di valore superiore a 2.582,28 €. Per valore della lite si intende l’ importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.

In materia di difetto di assistenza tecnica nel caso di controversie di valore superiore a 2.582,28 € sono da evidenziare due importanti pronunce: Corte cost. n. 189/2000 e Corte di Cassazione, SS.UU., n. 22601/2004. Esse hanno stabilito che nel caso in cui la parte sottoscriva personalmente il ricorso nonostante il valore della lite ecceda l’importo di 2.582,28 €, l’inammissibilità dello stesso prevista dall’art. 18, comma 4, scatta solo a seguito di ordine del giudice ineseguito nei termini fissati e non per il semplice fatto della mancata sottoscrizione del ricorso da parte di un professionista abilitato.

Per quanto concerne il richiamo all’art. 18 del d.lgs. n. 546/1992, ciò vuol dire che il reclamo dovrà contenere tutti gli elementi del ricorso. Anche circa le modalità di proposizione del reclamo, il legislatore richiama la norma che disciplina la proposizione del ricorso (art. 20), così come i termini di proposizione del reclamo sono quelli fissati con riferimento al ricorso, ossia 60 giorni dal ricevimento dell’atto impositivo (art. 21).

Significativo è poi il richiamo all’art. 22, comma 4, del d.lgs. n. 546/1992. Tale norma prevede che “unitamente al ricorso ed ai documenti previsti al comma 1, il ricorrente deposita il proprio fascicolo, con l’ originale o la fotocopia dell’ atto impugnato, se notificato, ed i documenti che produce, in originale o fotocopia”. Ciò significa che, così come avviene nel processo attraverso il deposito del fascicolo di parte, il reclamante dovrà depositare tutti i documenti necessari a sostenere la sua difesa. A tal proposito, un problema di carattere pratico che può sorgere è questo: l’art. 22, comma 4, in materia di contenzioso tributario, obbliga le parti a depositare i documenti al momento della costituzione in giudizio. Tuttavia tale momento non è preclusivo, potendo le parti depositare documenti anche in una fase successiva ossia 20 giorni prima dell’udienza come stabilisce l’art. 32. E’, di fatto, tale ultimo termine quello al di là del quale non è più possibile produrre in giudizio documenti.

Una prima questione è la seguente: esiste un termine, nell’ambito della procedura di reclamo, entro il quale depositare il fascicolo di parte? Esso deve essere prodotto unitamente al reclamo o anche in un momento successivo? E se accettiamo la seconda opzione, esiste un momento per così dire “preclusivo” oppure il deposito può avvenire liberamente?

Tali problematiche nascono dalla natura “anfibia” del procedimento di reclamo: esso ha al contempo natura amministrativa e giurisdizionale.

Si deve dapprima evidenziare che nella procedura di reclamo non esiste quella separazione, che si registra invece nel contenzioso tributario, tra fase di notifica dell’atto di contestazione (reclamo-ricorso) e fase di successivo deposito del fascicolo (costituzione in giudizio). Il procedimento introdotto con il nuovo art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992, infatti, accorpa le due fasi essendo l’organo giudicante incardinato presso lo stesso soggetto che rappresenta la controparte “processuale”.

In questo senso, non è facile capire se la procedura di reclamo sia scandita da termini ben precisi per il deposito dei documenti oppure possa essere gestita liberamente tra contribuente ed Amministrazione finanziaria.

Una seconda domanda che ci si pone è se, una volta fallita la procedura di reclamo e adita la via giurisdizionale, il ricorrente possa depositare documenti, non presentati nella fase di reclamo, entro il termine di venti giorni liberi prima dell’udienza così come recita l’art. 32, comma 1, del d.lgs. n. 546/1992.

La risposta dovrebbe essere positiva visto che il processo tributario rappresenta una fase autonoma rispetto al procedimento amministrativo di reclamo, come tale governato da regole specifiche. Ciò dovrebbe valere sia nel caso in cui la mancata presentazione del documento nella prodromica fase amministrativa sia dipesa da causa non imputabile al contribuente, sia nel caso contrario. In altri termini, il contribuente potrebbe produrre in giudizio il documento non presentato nella precedente procedura di reclamo senza onere di dimostrare che la mancata presentazione sia ascrivibile a causa a lui estranea. Ovviamente, il deposito dovrà avvenire rispettando i termini preclusivi di cui all’art. 32 del d.lgs. n. 546/1992.

Secondo il comma 7 del nuovo art. 17-bis il reclamo può contenere una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa. Inoltre, l’Agenzia delle Entrate, se non intende accogliere il reclamo volto all’annullamento totale o parziale dell’atto, ne’ l’eventuale proposta di mediazione, formula d’ufficio una proposta di mediazione avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilita’ della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa.

A questo punto si rende necessario distinguere l’istituto del reclamo da quello della mediazione tenuto conto che la stessa rubrica dell’art. 17-bis utilizza tale doppia terminologia.

Per reclamo si intende l’ atto rivolto all’Agenzia delle Entrate attraverso il quale il contribuente chiede un riesame del provvedimento emesso dalla stessa Agenzia. In altri termini, il contribuente sollecita l’Amministrazione all’esercizio di un potere che è quello di annullamento dell’atto impositivo, così come avviene con l’istanza di autotutela.

Come già detto, la veste formale e sostanziale dello stesso non si discosta da quella del ricorso, dovendo il contribuente, già in sede di reclamo, eccepire tutti i possibili vizi (anche di diritto dunque) da cui è affetto l’atto reclamabile.

Il reclamo si pone come atto necessariamente prodromico rispetto al ricorso. Se infatti viene presentato un ricorso non preceduto dal reclamo, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

La proposta di mediazione è invece atto facoltativo. Essa può essere contenuta nello stesso atto di reclamo oppure essere presentata in un momento successivo.

Con la proposta di mediazione il contribuente prospetta all’organo destinatario del reclamo una rideterminazione dell’ammontare dell’imposta contenente una reciproca rinuncia alle rispettive richieste del contribuente e dell’Amministrazione finanziaria.

La stessa proposta di mediazione può essere avanzata dall’Agenzia delle Entrate nel caso in cui non accolga il reclamo volto all’annullamento totale o parziale dell’atto.

Tuttavia non si comprende se la proposta di mediazione d’iniziativa dell’Agenzia delle Entrate rappresenti per la stessa una facoltà oppure un obbligo. A favore di quest’ultima soluzione milita il tenore letterale del comma 8, in particolare l’utilizzo del verbo “formula” al tempo presente indicativo.

A favore della prima opzione, la quale configura la proposta di mediazione come facoltà per l’organo impositore, un argomento decisivo potrebbe ricavarsi dal disposto del successivo comma 9, il quale si occupa, tra l’altro, dei termini per la costituzione in giudizio. In base a quest’ultimo: “Decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso. I termini di cui agli articoli 22 e 23 decorrono dalla predetta data. Se l’Agenzia delle entrate respinge il reclamo in data antecedente, i predetti termini decorrono dal ricevimento del diniego. In caso di accoglimento parziale del reclamo, i predetti termini decorrono dalla notificazione dell’atto di accoglimento parziale”.

Come si vede, il comma 9 distingue, con riguardo al profilo della decorrenza del termine per la costituzione in giudizio del ricorrente, il caso in cui la mediazione non abbia trovato un epilogo nei 90 giorni dalla proposizione del reclamo dal caso in cui l’Agenzia delle Entrate abbia rigettato espressamente il reclamo. Da ciò si può desumere la seguente conclusione: nel momento in cui l’Agenzia decide di rigettare il reclamo proposto dal contribuente non deve necessariamente offrire allo stesso una mediazione, potendosi limitare alla emanazione di un provvedimento di rigetto. In tale evenienza, sarà il termine di emanazione di detto provvedimento negatorio a fungere da dies a quo per la costituzione in giudizio del ricorrente.

Il comma 8 dichiara applicabili le disposizioni dell’articolo 48, in quanto compatibili. Occorre quindi verificare se il comma che prevede la riduzione di sanzioni al 40% possa trovare applicazione al solo reclamo, alla sola mediazione, ad entrambi gli istituti oppure non possa trovare nessuna applicazione in quanto ritenuta disposizione incompatibile con la procedura di cui all’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992.

Secondo alcuni, è possibile applicare la riduzione di sanzioni prevista per la conciliazione giudiziale alla sola mediazione e non anche al reclamo. Ciò per due motivi: solo la mediazione scaturirebbe da un vero e proprio accordo Fisco – contribuente laddove il reclamo va visto più come sollecitazione all’esercizio di un potere da parte dell’Amministrazione finanziaria. Dalla procedura di reclamo emergerebbe non già un accordo bensì un nuovo atto amministrativo scevro dei vizi dai quali risultava affetto; la disposizione secondo cui “Si applicano le disposizioni dell’art. 48 in quanto compatibili” è inserita nel comma 8 là dove si parla della mediazione e non del reclamo.

Secondo un’altra opinione la riduzione di sanzione non potrebbe applicarsi né al reclamo né alla mediazione. Infatti, l’obiettivo perseguito dal legislatore attraverso la riduzione delle sanzioni è incentivare il contribuente a trovare un accordo con l’Amministrazione finanziaria al fine di chiudere celermente la controversia ed evitare l’instaurarsi del processo. Se così è, tale effetto premiale non potrebbe essere esteso alla procedura di cui all’art. 17-bis in quanto quest’ultima è una procedura “obbligata”, imposta, la cui attivazione quindi non è rimessa alla volontà del contribuente.

Quest’ultimo, per avviare il processo, deve (non può) proporre reclamo. Di fronte a un atto impositivo che il contribuente ritiene illegittimo (e che non superi 20.000 € di imposte), lo stesso, nel caso in cui non faccia acquiescenza, non ha la facoltà di scelta, fatta salva l’istanza di accertamento con adesione, tra trovare un’intesa con l’Agenzia delle Entrate oppure proporre ricorso in Commissione tributaria. Egli, invece, deve necessariamente attivare la procedura di reclamo, all’interno della quale poi può inserirsi la mediazione.

E’ opinione di chi scrive che quantomeno nella ipotesi di mediazione si debba riconoscere il beneficio della riduzione delle sanzioni.

Non irragionevole è poi ritenere, nel caso di annullamento parziale, che l’A.E. dovrebbe comunque consentire la definizione agevolata delle sanzioni relative al tributo rideterminato (in uno con l’avviso di accertamento o solo in relazione ad esse) considerato che annullando parzialmente l’atto ne crea uno ex novo.

Secondo il comma 9 dell’art. 17-bis: “Decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso”.

Il legislatore ha previsto un meccanismo di commutazione del reclamo in ricorso alla scadenza dei 90 giorni senza che l’Agenzia delle Entrate abbia notificato atto di accoglimento oppure nell’ipotesi in cui la procedura di mediazione non si sia esaurita nei 90 giorni dalla data di proposizione del reclamo.

Al riguardo, si è già rilevato che la proposta di mediazione può provenire anche dall’Agenzia delle Entrate qualora la stessa non ritenga di accogliere la richiesta di annullamento totale o parziale dell’atto cristallizzata nel reclamo oppure l’eventuale proposta di mediazione contenuta nel reclamo.

Sempre il comma 9 prosegue affermando che, nel caso di silenzio dell’Amministrazione sull’atto di reclamo o in caso di mancato esaurimento della mediazione nei 90 giorni previsti, i termini di costituzione in giudizio sia del ricorrente sia del resistente iniziano a decorrere dal novantesimo giorno dalla presentazione del reclamo.

Invece, nel caso di rigetto espresso notificato al contribuente prima della scadenza dei 90 giorni, il termine per costituirsi in giudizio decorre dalla data di ricevimento di detto provvedimento. Parimenti, nel caso di provvedimento di accoglimento parziale.

Una questione che potrebbe sorgere attiene alla possibilità per il contribuente di costituirsi in giudizio oltre il termine di 120 giorni dalla proposizione del reclamo nella ipotesi in cui il procedimento di reclamo non abbia visto il proprio epilogo nel termine normativamente previsto di 90 giorni dalla presentazione dell’atto di reclamo. Si allude cioè all’eventualità, non remota, in cui l’Ufficio fissi l’incontro con il contribuente dopo i 90 giorni dall’attivazione della procedura di reclamo. Si potrebbe pensare anche ad una procedura per così dire in itinere, cioè che non si è chiusa nel termine previsto ma che ha buone possibilità di concludersi a breve.

In queste due fattispecie, ci si chiede se il contribuente debba necessariamente costituirsi in giudizio entro i 30 giorni dalla scadenza del termine previsto dalla norma per la chiusura della procedura amministrativa di reclamo oppure se possa in qualche modo giovarsi di un procrastinamento dei termini processuali. Alla questione si ritiene di dare risposta negativa. Attenzione quindi ai termini attinenti la fase processuale: questi vanno sempre rispettati, non potendosi ritenere che il mancato esaurimento della procedura di reclamo entro i 90 giorni possa comportare uno spostamento in avanti dei termini per costituirsi in giudizio.

3) La procedura di reclamo non esauritasi nei 90 giorni

Dubbio è poi se si possa, nel caso di mancato esaurimento della procedura di reclamo nel termine di cui al comma 9, addivenire ad una conciliazione giudiziale nella successiva fase contenziosa.

In via generale, la semplice attivazione della procedura di reclamo preclude l’accesso all’istituto della conciliazione giudiziale ex art. 48 del d.lgs. n. 546/1992, indipendentemente quindi dall’esito della procedura de qua. Tuttavia se la procedura in questione, al momento della scadenza dei 90 giorni, è ancora in itinere e se ragionevoli si profilano le probabilità di stipulare positivamente un accordo col Fisco, la chiusura della procedura di cui all’art. 17-bis del d. lgs. n. 546/1992 è ancora possibile?

Si ritiene che se l’atto di accoglimento del reclamo venga notificato alla scadenza dei 90 giorni dalla proposizione del reclamo, nulla osta alla chiusura della procedura sebbene il contribuente abbia già effettuato la costituzione in giudizio. In tal caso, se già costituito, potrà chiedere l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere.

Se non si è ancora costituito, il contribuente non avrà alcun interesse a costituirsi per mancanza di interesse ad agire (naturalmente nell’ipotesi in cui i termini per la costituzione non siano ancora spirati) avendo ottenuto un provvedimento dell’Amministrazione completamente satisfattivo.


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